Con il passare del tempo, durante questi quattro giorni di viaggio – grazie ai trekking, al gruppo di viaggiatori e alla simpatia degli isolani – ho trovato il mio percorso: una via di scoperta, connessione e meraviglia, oltre ogni aspettativa.
La notte prima della partenza ero terrorizzata. Nella mia testa, il confronto con Giorgio sarebbe stato inevitabilmente fallimentare. E invece, la sua indiscutibile capacità di scegliere le persone giuste e i luoghi più autentici non ha disatteso le mie speranze.
Pian piano, con Giulia, si è creata quella connessione silenziosa ma forte, quella sintonia che fa sì che tutto funzioni.
È così che l’offerta pensata per i nostri viaggiatori si è trasformata in qualcosa di più: un’esperienza autentica, profonda, condivisa.
E per questo ringrazio ogni partecipante, perché credo abbiano colto il mio iniziale disagio e, con delicatezza, lo abbiano accolto.
Quando l'estate lascia spazio a un autunno che sa di maturità, l'isola sembra sospirare tutta intera: è l’ultimo caldo, l’ultimo abbraccio della luce prima che il crepuscolo si faccia lungo.
Giglio Castello, con le sue mura antiche, si prepara a cambiare veste: le strade si accendono di luci soffuse, e la pietra diventa scenografia per una festa di antica tradizione.
Le cantine si aprono: vengono chiamate “le grotte del gusto”. Sono piccole stanze fresche, dove l’ombra protegge il vino dalle esuberanze del sole. Qui si respira l’aroma dell’uva schiacciata, del mosto in fermento, del legno delle botti.
Ecco gli odori di questa festa, e dell’isola… l’anice del vino Ansonaco (o Ansonico) – il vecchio vitigno – che sprigiona note intense, amare, dolci, robuste; il profumo del pane caldo, dell’aglio, del pesce grigliato, delle erbe raccolte nel bosco, del rosmarino fiorito, del corbezzolo con il suo frutto dal colore unico, dell’elicriso che sa di sole e vento; dei dolci: da provare quello di patate con pinoli e uvetta. Ogni piatto è una memoria, ogni boccone un canto di gratitudine.
Le voci: risate che si confondono tra le vie del borgo, tavolate messe a disposizione dalla comunità, anziani e giovani che si raccontano; musica che arriva da ogni vicolo, e voci rauche di chi ha parlato con il mare. Anche se disturbati dalla pioggia, i passi battono, i piedi si muovono insieme.
E la luce: quella che cala dietro le mura, dietro i cipressi; che scalda le facciate di oro e di rosso; che illumina i volti affaticati (siamo anche a fine stagione!), ma felici; che spegne il giorno nel momento in cui tutti si ritrovano in Piazza Gloriosa, sotto le stelle, a brindare: al vino che scorre, al lavoro, alla vita, alla comunità che non lascia indietro nessuno.
È la festa che chiude una stagione, ma apre il cuore: l’autunno può avere giornate corte, eppure, in questi giorni in cui l’uva è raccolta, ogni boccone e ogni bicchiere riaccendono la bellezza dell’essere insieme, dell’appartenere – a un gruppo di viaggiatori, nel nostro caso; al luogo, alla storia, agli altri.
E mai come in questo momento storico, ne abbiamo bisogno.
Il mio percorso da atleta, l’esperienza nel fare squadra, mi hanno insegnato a leggere i silenzi, a sostenere chi è in difficoltà, a fidarmi degli altri.
Mai avrei pensato che queste stesse competenze mi sarebbero tornate così utili in una veste nuova: quella dell’accompagnatrice.
E non poteva che accadere su un’isola come il Giglio. Un’isola fuori dalle rotte del turismo di massa, silenziosa e selvaggia, che è diventata nota al mondo non per la sua bellezza, ma per la tragedia del naufragio della Costa Concordia, nel gennaio del 2012.
Durante uno dei nostri trekking con Giulia, la nostra accompagnatrice escursionistica nonchè Bussola, dall’alto di un sentiero, abbiamo visto il punto preciso dove la nave si è adagiata sul fianco, squarciandosi. Inizialmente avevamo quasi pudore a parlarne, ma il pensiero si è subito spostato: dalla tragedia alla comunità.
Gli isolani si strinsero attorno a chi aveva perso tutto, diventando rifugio, conforto, memoria viva.
Echeggiano ancora i racconti: di come il bar del porto si trasformò in rifugio improvvisato, di come le stanze degli alberghi vennero offerte gratuitamente, di come alcune famiglie aprirono le loro case per accogliere donne e bambini infreddoliti, sotto shock.
Un uomo del posto, indicando un tratto di costa, ci ha detto:
“Lì… proprio lì… era buio pesto. Pioveva. Abbiamo sentito gridare. Abbiamo preso torce e coperte, e siamo corsi.”
Nessun eroismo ostentato. Solo un profondo, istintivo senso di umanità.
Nella Chiesa di San Lorenzo, a Giglio Porto, sono custoditi alcuni resti sacri recuperati dalla cappella della Concordia. Salvati dal relitto, sono oggi un simbolo silenzioso di ciò che è stato. Una scelta che dice molto:
non si butta via ciò che ha un’anima.
Si custodisce, si accoglie, si trasforma in memoria.
Non è un caso se l’isola ha ricevuto la Medaglia d’Oro al Valore Civile.
Ciò che è accaduto qui non è stato solo un intervento di soccorso: è stata una lezione di dignità collettiva, di silenziosa grandezza.
E oggi, nel mio piccolo, mentre accompagno il gruppo tra questi paesaggi incantevoli, mi rendo conto che non stiamo solo camminando nella natura:
stiamo camminando nella storia di un popolo che ha scelto la solidarietà come risposta al dolore
Quando l’alba timida s’insinua tra le creste dei colli e il mare, un lieve bagliore dorato risplende sulle case del borgo: pietre antiche, terrazze in pietra, volte che hanno visto secoli.
I gigliesi sono gente che ha imparato ad ascoltare il vento, a scrutare l’orizzonte, a comprendere il linguaggio silenzioso delle onde.
Sono coloro che coltivano la terra non per orgoglio, ma per amore: una terra che sa di sale, di sole, talvolta di fatica, ma che restituisce vigne generose, frutti dolci e miele.
E nella sera, quando il sole calante infiamma il mare, ci si raccoglie davanti alle antiche cantine. Si prepara la cena, semplice ma vera, come la zuppa: fatta di sapori di casa.
Sono custodi di racconti antichi, leggende e storie che parlano di tempeste, navigatori, pirati e santi, ma anche del miracolo quotidiano: il grappolo che matura, la vendemmia, la festa.
Nei loro sguardi si legge la gratitudine: al cielo, al mare, al bosco.
Nei loro volti, l’esperienza di essere isolani: una comunità che si stringe, che si conosce uno a uno.
Hanno una forza gentile, resiliente, che affonda le radici nel vivere su un’isola: dove ogni risorsa, ogni stagione ha un valore.
Nulla è dato per scontato.